Mi ha mostrato la medaglia che aveva ricevuto per essere stato lì, toccandola con i polpastrelli: in rilievo la diga, le montagne e una scritta in stampatello. “Ledi ti” mi ha detto, leggi tu.

 Il 9 ottobre di quest’anno ricorre l’anniversario della tragedia del Vajont; rotta la diga, un’onda immensa si riversò sui paesi sottostanti, cancellando tutto, persone e memoria. Per memoria s’intende non soltanto l’avvenimento in se stesso che è doveroso ricordare ma quelle memorie degli stessi  protagonisti che la tragedia ha annientato. Memorie individuali, memorie collettive, tradizioni, costume, identità dei singoli paesi, dei singoli protagonisti. E nel libro si parla   di un lavoratore della zona industriale di Longarone che partecipa a una visita guidata alla centrale di Soverzene. Questa fa riemergere al protagonista le memorie di un tempo ormai lontano, sebbene poi, a dir la verità, per far riemergere le memorie il tempo è decisamente vicino, come lo sono sessant’anni.

Una distruzione per un uomo vissuto in cantiere possiede diversi elementi che fanno diventare l’impresa quasi spirituale. Al punto che tutto quel mondo  gira attorno ai materiali edili, alla fatica per metterli insieme, ai giorni di paga; se quel mondo viene cancellato, vengono cancellati anche i ricordi che a quel mondo giravano. Purtroppo la tragedia del Vajont è stata un simbolo dell’Italia industriale e votata al progresso; un simbolo di costruzione e di distruzione, un simbolo che porta con sé la difficoltà ancora oggi di risalire ai responsabili. Il pathos consente all’autore di riannodare i fili della propria vita, dei propri ricordi e dei sentimenti sussunti a una memoria che unita ad altri disastri precedenti non deve essere assolutamente dimenticata. Per coloro che vi hanno lavorato, per i responsabili, per chi è morto, per noi stessi.

  • Il saldatore del Vajont di Antonio G. Bortoluzzi
    Ed. Marsilio
    ISBN 9788829719563

 

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